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Lunedì l'interrogatorio

L’arresto della Gip Giorgia Castriota, inquinava le prove: “Il cane mi ha mangiato il cellulare”

La parabola: dagli incarichi agli amici per spese superflue, a Rebibbia

LATINA – Giorgia Castriota aveva paura, preparava la difesa del compagno consultandosi con un noto studio legale di Latina, e intanto cercava di “rendere la raccolta di riscontri estremamente difficile”. Lo scrive la Gip Natalia Giubile nella sua ordinanza di custodia cautelare, decidendo di disporre il carcere per la collega del Tribunale di Latina accusata di corruzione in atti giudiziari  e definendo “granitico” il quadro che emerge dal materiale raccolto dalla Procura di Perugia nell’inchiesta che si è svolta sotto il diretto coordinamento del Procuratore Capo Raffaele Cantone.

LA PARABOLA – Dai lauti incarichi al compagno Salvatore Ferraro e agli amici compiacenti per procedure di amministrazione dei beni sequestrati, alle successive frizioni con la Procura di Latina per aver emesso un provvedimento di sequestro che andava oltre le richieste dello stesso pm, fino al “panico” generato  dalla notizia della prosecuzione delle indagini nei suoi confronti. E’ la parabola discendente della 45 enne Gip e Gup in piazza Buozzi, così come si evince dall’ordinanza di custodia cautelare.

SOTTO CONTROLLO UTENZE E AUTO – Dopo la denuncia dell’imprenditore Fabrizio Coscione (accusato di reati tributari, ma che lamentava una gestione non corretta dei propri beni sequestrati), presentata nei confronti della giudice alla Procura di Milano e da qui passata per competenza a Perugia, erano state autorizzate sia le intercettazioni delle conversazioni telefoniche, sia, successivamente, quelle ambientali all’interno delle vetture utilizzate da Ferraro e Castriota, sia l’utilizzo del captatore informatico tramite l’inoculazione di virus troian, intercettazioni estese successivamente anche all’indagata Stefania Vitto, amica intima della Castriota.

IL PANICO  – La Gip arrestata sapeva che i magistrati di Perugia non avevano affatto archiviato l’inchiesta a suo carico come sperava accadesse, anzi erano decisi ad andare avanti. Nell’ordinanza è spiegato bene che “è necessario limitare la libertà degli indagati Castriota e (del commercialista e compagno) Ferraro, nella misura più completa, anche alla luce del fatto che gli stessi sono stati portati a conoscenza della presente indagine, avendo ricevuto recentemente la notifica della proroga delle indagini preliminari richiesta dal Pubblico Ministero”.

PROVE CANCELLATE – Sono i primi di aprile di quest’anno. L’arresto (avvenuto giovedì 20 aprile) della Gip Giorgia Castriota, con la misura più dura del carcere e la detenzione a Rebibbia, è arrivato non solo dunque per il perpetuarsi dei reati, ma anche perché gli indagati hanno cominciato a inquinare le prove se non a cancellarle, come avviene con i cellulari e le schede Sim. “Non sai che mi è accaduto – diceva Castriota ad un’amica – il cane mi ha mangiato il telefonino, lo ha fatto in mille pezzi e ho perso tutti i dati”. Un modo, per cercare di precostituirsi una prova che giustificasse la sparizione del dispositivo. La gip inoltre, in vista di un suo interrogatorio a Perugia dove doveva essere ascoltata, metteva in guardia un altro collaboratore indagato nell’inchiesta Stefano Evangelista che, nel caso in cui gli fosse richiesto, doveva affermare di non aver mai dato nulla alla Castriota e che, per quanto a sua conoscenza, il Giudice non a ricevuto denaro da nessuno.

IL ROLEX – Il prezzo della corruzione serviva a pagare spese ordinarie, ma anche costosi “sfizi”: il pagamento del canone di locazione, le utenze, lo stipendio della colf (coinvolta in vario modo e ascoltata come persona informata sui fatti), viaggi, vacanze, il ripianamento di esposizioni debitorie, l’abbonamento annuale tribuna d’onore allo stadio Olimpico per assistere alle partite di calcio ( € 4.300,00) e di recente anche un orologio Rolex da € 6.300,00 circa. Lei però al polso, in Tribunale a Latina, ostentava un orologio di plastica.

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