SAN FELICE CIRCEO – Per capire i cambiamenti climatici e i loro effetti si può partire dall’uomo di Neanderthal. Anzi dal promontorio del Circeo oltre che dalla pianura pontina, due tra i luoghi più importanti per la conoscenza della preistoria italiana. Lo dimostrano gli ultimi due anni di studio compiuti sotto la direzione della professoressa Margherita Mussi del Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza, nel riparo Blanc un deposito archeologico risalente a 8500 anni fa posto ai piedi della cosiddetta Cava D’Alabastro (in foto), scoperto da Marcello Zei nel 1959 e da questi dedicato al famoso paleontologo. Qui furono trovate le ultime testimonianze di cacciatori-raccoglitori. Di recente, grazie alla famiglia Blanc Aguet, le porte di quell’area in pieno Parco Nazionale del Circeo, si sono riaperte agli archeologi che per due anni hanno avuto il privilegio di effettuare nuovi scavi con vista mare, dove un tempo al posto del mar Tirreno, c’era una vasta pianura ricca di prede. Ecco allora il perché, la preistoria ci può aiutare anche a comprendere i cambiamenti climatici e a prevedere il futuro. Quello che accade oggi, è già successo, magari non alla stessa supersonica velocità.
Il punto sull’ultima campagna di scavo è stato fatto nel corso di una conferenza stampa ospitata a Villa Blanc voluta dall’Ente Parco Nazionale del Circeo per riaccendere i riflettori sul valore dei beni archeologici presenti nell’area e riaccendere il dibattito intorno al lavoro da fare per renderli fruibili al pubblico. Presente anche Francesco Di Mario direttore del Comprensorio Archeologico del Circeo che ha autorizzato gli scavi accogliendone con favore la riapertura.
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80 ANNI DOPO BLANC – Succede a distanza di quasi 80 anni da quando proprio Alberto Carlo Blanc, dopo aver compiuto studi su Canale Mussolini (oggi Canale acque Alte), recuperò al Circeo il cranio di Grotta Guattari avviando poi un’ esplorazione sistematica delle grotte del Promontorio del Circeo che portarono alla scoperta di depositi paleolitici, serviti in seguito a scrivere una corposa parte della preistoria. E a più di 50 anni di distanza dai primi scavi effettuati dalla Sapienza a cura di Luigi Cardini e Mariella Tedeschini.
Quelle ricerche non si sono esaurite e la fotografia scattata da Blanc, ripresa da Cardini-Tedeschini, arricchita da Zei, oggi è aggiornata dal gruppo di ricercatori dell’università di Roma. “Nella piccola area che è stata il nostro campo di scavo, abbiamo trovato strati di molte epoche perfettamente conservati e riconoscibili, e possiamo così arricchire le nostre conoscenze sui comportamenti e sulle capacità anche tecnologiche di questi nostri lontani antenati”, ha spiegato Flavio Altamura che ha diretto le operazioni nel sito, illustrando come lo scioglimento di enormi strati di ghiacci formatisi in seguito ad una delle numerose glaciazioni che si sono susseguite nel tempo, ha portato un’area di pianura a diventare marina e i cacciatori a trasformarsi in pescatori, reinventandosi letteralmente la vita. Intrappolate tra gli strati sono emerse conchiglie che venivano utilizzate per ornamento, la Columbella rustica, che probabilmente proprio dal Circeo veniva esportata e usata come merce di scambio. “Era un must per la società dell’epoca – ha detto la professoressa Mussi – come il Rolex di oggi. E’ stata ritrovata anche in giacimenti dell’Abruzzo”.
“Stiamo vivendo una congiuntura astrale favorevole”, scherza (ma non troppo) il sindaco di San Felice Circeo Giuseppe Schiboni facendo riferimento anche ai recenti ritrovamenti subacquei di epoca romana nello specchio d’acqua davanti al porto del Circeo, ma anche la ritrovata piena collaborazione interistituzionale con il Parco in primis, con la Sovrintendenza, le associazioni locali e i privati suggerita dal direttore generale del Mibac, Francesco Scoppola come l’unica possibile per intercettare le risorse europee che l’Italia fatica a ricevere, ma che sono lì, pronte ad attenderci.
“Il Parco del Circeo ha una road map che è il Piano del Parco che prima o poi vedrà la luce”, spiega il presidente Gaetano Benedetto sottolineando il valore dell’attuale ritrovata collaborazione sul territorio per riuscire a rilanciare gli aspetti legati alla formazione, educazione, ricerca, gestione e valorizzazione dei siti oggetto dell’indagine e del Comprensorio che li ricomprende.
La strada è ancora lunga, come dimostrano le vicende legate a Villa Domiziano, il prezioso sito sul lago di Paola chiuso per mancanza di personale.
E non è superfluo ricordare come tutto questo costituisca un’ enorme occasione di destagionalizzazione del turismo: “All’interno del Parco siamo in presenza di una quantità e qualità straordinaria di beni archeologici, solo per restare ai più importanti sono 14 i siti, che insieme ai 4 ambienti naturali fanno si, che questo Parco Nazionale, sia una delle esperienze più interessanti”, sottolinea il direttore dell’Ente Paolo Cassola.
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